Per il primo appuntamento della rubrica "Icons Coins" vi proponiamo un viaggio alla scoperta delle eleganti e sofisticate borse "IT bag /: la Bagonghi"

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Dedicato
alla mia amica Chicca,
divulgatrice del verbo di Roberta

Prima della Baguette e della Jackie’O, prima della Lady Dior e della Miss V, per tempi ed ordine alfabetico, il pubblico femminile decretò il successo planetario di una borsa unica ed originale, una vera icona fashion: la Bagonghi.

 Bagonghi venne creata alla metà degli anni ’50 da Roberta di Camerino - la stilista veneziana che dall’immediato secondo dopoguerra si era imposta sulla scena della couture italiana e non solo con i suoi tessuti trompe-l’oeil e gli audaci accostamenti di colori - che per quell’oggetto rivoluzionario fu insignita dell’Oscar della moda, il Neiman Marcus Award, nel 1956.

Ma quali furono gli elementi che trasformarono quella borsa in un’icona?

Innanzitutto la sua creazione introduceva nella moda un concetto nuovissimo: quello dell’eleganza di un accessorio. Per la prima volta, infatti, una borsa non era soltanto un pratico contenitore, utile e funzionale, ma qualcosa di bello e prezioso, al pari di un gioiello. Un dettaglio, colorato ed elegante, che completava quello che oggi viene chiamato “outfit” e che all’epoca era indicato con il termine francesizzante “mise”.

Il colore era il secondo elemento rivoluzionario.
Addio ai blu e ai neri, ai beige e a tutte le sfumature del marrone. E addio anche all’idea della borsa fatta di pelle, per quanto pregiata… Con buona pace di coccodrilli e struzzi, pitoni e lucertole, razze e agnellini Bagonghi introduceva nel mondo della pelletteria il velluto liscio colorato (prevalentemente rosso, blu navy e verde oliva) anzi cesellato (detto anche soprarizzo)… fino ad allora utilizzato per capi esotici e raffinati, per elementi di arredamento o per i capi degli ecclesiastici. L’idea nacque dall’ammirazione della bellezza di Venezia e delle sue tradizioni, di cui una delle più importanti oltre al vetro che è il più conosciuto, era la manifattura tessile: le sue borse erano e sono ancora realizzate in velluto prodotti da telai rinascimentali (nella collezione 2013 ci sono ancora “chicche” realizzate con “tagli” storici): il buon vecchio pellame era “relegato” ad un ruolo di non protagonista, alle finiture, cui spettava sottolineare la personalità della borsa ed arginare le variazioni cromatiche spesso estreme. In un angolo il celebre logo di metallo dorato: una cintura intrecciata che forma una lettera R maiuscola. R di Roberta, naturalmente, ma anche di Rivoluzione, Riconoscibilità, Ricerca.

 

Anche la forma era innovativa: ispirata ai bauletti ottocenteschi dei medici, era molto più arrotondata rispetto alle borse del tempo… ma a renderla speciale, era il maniglione centrale (le cui borchie e chiusure venivano realizzate dagli artigiani che lavoravano i preziosi ottoni delle gondole), che sembrava un cappello… enorme su un piccolo corpo, come quello di un nanetto… Fu proprio la foggia di quella maniglia insieme alle strisce colorate, che rimandavano ai tendoni degli spettacoli circensi, a determinare la scelta del nome che fu ispirato al più celebre nano del circo: fin dalla metà dell’Ottocento sotto ogni tendone importante – a partire dal mitico Barnum - c’era stato un nano di nome Bagonghi.

 Così, visto che Roberta (nata Giuliana Coen Camerino, e ribattezzatasi come creatrice utilizzando il nome della figlia) anziché numerare, preferiva battezzare le sue creazioni, il “grande-piccolo” bauletto, invece che essere classificato come modello numero tot diventò la “Bagonghi”, un oggetto mitico, venduto in tutto il mondo in milioni di esemplari.

In realtà, se Roberta di Camerino non l’avesse chiamato come il celebre nano, il bauletto più  famoso del mondo avrebbe potuto portare il nome di Grace Kelly. La principessa di Monaco infatti fu la prima, grande estimatrice della borsa. Nel ’56, quando la stilista fu insignita dell’Oscar della moda, Grace, che l’anno prima aveva ricevuto la statuetta di miglior attrice, si recò alla premiazione di Dallas proprio con una Bagonghi. Tre anni dopo, poi, nel ’59, quando ormai “grazia serenissima” arrivò a Roma, in visita ufficiale, aveva di nuovo una Bagonghi al braccio.

La borsa finì sulle copertine dei giornali di tutto il mondo, a partire dall’italianissimo Europeo: un trionfo… confermato dal fatto che tante dive iniziarono a farne incetta: Liz Taylor, la Lollobrigida… tutte le donne desiderarono quella che fu ribattezzata “la borsetta della principessa” e “Bagonghi” divenne un nome italiano caro alle donne ad ogni angolo del pianeta, almeno quanto “Bella” e “Bulgari”...

Se non credete a me, sfogliate le pagine del libro di Guido Vergani, dedicato alla giornalista-icona Maria Pezzi ed intitolato “Una Vita dentro la moda” (Skira, 1997): "Era il 1952. Un settembre, a Venezia. Sul motoscafo che dall'Hotel Europa andava al Lido, Elsa Maxwell stringeva tra le mani una borsa di velluto rossa e verde, un grazioso bauletto che si chiamava Bagonghi ed era di Roberta di Camerino. All'imbarcadero del Danieli salì l'attrice Eleonora Rossi Drago con la stessa borsa e, incrociando un  altro motoscafo, la comare hollywoodiana vide con dispetto un'altra Bagonghi in edizione nera e beige. Io non mi meravigliai...".

Va detto che la Maison veneziana, da allora, non ha mai smesso di proporla ogni anno in nuove versioni  di colori e di materiali, senza mai tradirne il concept e lo stile, come possono testimoniare appassionate come Isabella Rossellini, Andy Mc Dowell . E se online e nei mercatini se ne trovano di originali degli anni ’50 e ‘60, la griffe, testimonianza di una moda senza tempo – acquisita e rilanciata pochi anni fa dal gruppo italiano Sixty - ne propone anche quest’anno di “nuove”… tra cui, oltre che quelle in pelle, delle vere e proprie chicche realizzate con scampoli di tessuto d’antan e personalizzate all’interno con il nome delle boutique concessionarie.

http://robertadicamerino.com/

 Francesca Salemme

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